Monte Carpegna
LE ORIGINI

Non si trova purtroppo la data di origine del santuario, del quale sappiamo, però, che la più antica memoria risale a delle vecchie pergamene ritrovate nell’archivio del Capitolo Feretrano, appartenute alle abbazie di Santa Maria del Mutino e San Michele Arcangelo del Sasso Simone.

Trattasi di atti: un rogito notarile risalente al 15 aprile del 1205 in cui si legge che il rettore di Santa Maria del Monte Carpegna, Viviano, compera da un certo Leo de Vivoleuna selva e prato”, posti sul detto monte, in località detta acqua frigida, confinante con la via dei popolani e con plano Madio, per il prezzo di 20 denari.
Appare fra i testimoni Tebaldus Celle.


Un secondo rogito, redatto da parte del notaio Leto Carpinensis, porta la data del 22 aprile 1242.

Da esso risulta che: "...Pellegrino sacerdote e Blanco Converso della Cella del Monte Carpegna, redattori di detta cella, concedono in contratto un fondo agricolo (alcuni appezzamenti descritti nei loro confini) ai fratelli Gauzo, Donolo e Abusolo delle Genghe, fino alla terza generazione, per il prezzo di 35 soldi ravennati e, per servizio e pensione, di recare ogni anno nella festa di Tutti i Santi un paio di focacce, un paio di polli e due soldi ravennati".

Un terzo reca la data del 23 novembre 1242: è il Ferrus Feretranus Notarius.
Si legge che don Pellegrino, rettore di Santa Maria del Monte, con il consenso di Blanco Converso, concede in uso a una certa Druda, che riceve anche a nome del marito Signorello, un pezzo di terra posta nel Comitato Feretrano, plebanato di San Leo, parrocchia di Santa Maria di Soanne, nel fondo di Monte Calbo.
Per pensione un denaro nella festa di Tutti i Santi. 

ll 12 luglio 1296 Rainizzolo dei Rossi di Scavolino lascia come legato alla Cella del Monte 20 denari; testamento che comprova l’amore per la Beata Vergine.

Nel 1301, il 6 di maggio, don Mafeo, rettore della Cella del monte Carpegna, concede in affitto a Fusco fu Ugolino Valentini della Villa del Monte, un pezzo di terra posta nella pieve di Carpegna, chiesa di san Donato nel fondo di Fonte Ranchi, con la pensione di un denaro ravennate da darsi ogni anno nella festa di santa Maria nel mese di agosto, per il prezzo di tre libbre di buoni denari suddetti, che saranno impegnati per comperare le carte necessarie a comporre un messale. 
Il rogito è redatto davanti alla porta della stessa cella.
Testimoni: Bentevenga, rettore della chiesa di Capriola, Guidunzolo di Soanne e Tarduzio di Talamello, addetti alla stessa cella.
Notaio Giovanni di Monte Buaggine.

L’archivio del Capitolo Feretrano, in un atto redatto il 21 aprile, ci dice che detta cella è nominata per i suoi beni confinati con terre che Sclatto, procuratore dell’abate Ugolino del monastero di Santa Maria del Mutino, concede in affitto.

Così pure, per lo stesso motivo, appare nell’atto del 27 dicembre 1369.

Dagli atti di visita del vescovo Sormani (24 settembre 1577) appare che detta chiesa di Sant’Angelo di Capriolo è unita alla parrocchia di Monte Boaggine.

Nel corso dei secoli sorsero parecchie controversie per i confini.

Un atto riguardante quella tra le comunità di Scavolino e di Monte Boaggine del 17 agosto 1585, fu steso vicino alla porta della Chiesa della Cella.
Papa Clemente VIII, con bolla del 4 luglio 1602, concesse al vescovo feretrano Pietro Cartolari l’unione di detta mensa di cinque benefici semplici, tra i quali quello di Santa Maria della Cella, ritenuto assai pingue, per sopperire al sorgere delle difficoltà economiche incontrate, sia per l’erezione della cattedrale, sia per il mantenimento dei canonici che dovevano officiarla.
Gli altri benefici erano: San Pietro in Messa, Santa Maria degli Angeli di Pennabilli, Santa Maria della Rocca di Carpegna, Santa Maria Maddalena di Uffugliano.

Naturalmente sorsero delle difficoltà, poiché tale beneficio era posseduto dal sig. Andrea Fabbri di Verucchio, il quale “... senza sentire il Capitolo come vacante l’aveva impetrato dalla Romana Curia.
In seguito aveva rinunciato a favore del fratello. Per cui il Capitolo Feretrano, nella riunione del 28 dicembre 1612, stabilì di mandare un canonico a Roma e al Serenissimo Duca per ottenere la conferma della unione alla Mensa Capitolare.

L’Olivieri, sotto l’anno 1633, così riassume la vertenza: “In questo medesimo tempo resosi vacante un beneficio semplice eretto nella chiesa posta sulla cima del Monte Carpegna, si accese una fierissima lite fra il capitolo della cattedrale e... la quale lungo tempo ventilata nella Romana Rota fu alfine decisa a favore del Capitolo

Il Capitolo spese circa 300 scudi per tale lite e subentrò alla soddisfazione degli obblighi che aveva la cella, come quello dei censi a favore dell’abbazia di Santa Maria del Mutino, l’attuale Monastero, che nel 1615 erano di 30 quattrini.

Con l’annessione al Capitolo Feretrano terminò tale obbligo.

Le Sacre Visite dei Vescovi, come quella di mons. Girolamo Ragazzoni, vescovo di Famagosta e visitatore apostolico in data 27 luglio 1574, emanarono diversi decreti: il monsignore ordinava di accomodare la porta della chiesa, di riparare un muro che minacciava di cadere e di acquistare una pianeta bianca. Rettore della chiesa è don Livio Magi di Bologna.

Il vescovo Giovan Francesco Sormani, nella sua citata visita del 22 luglio 1578, annotava che la statua della Beata Vergine con il figlio in grembo era posta sul muro prospiciente l’altare.

Il vescovo Consalvo Duranti visita la chiesa il 15 agosto 1609.

Il 2 luglio 1731 il vescovo Giangrisostomo Calvi da Montecerignone confessò e comunicò molte persone. Trovò tutto in ordine et laudavi.


La terza domenica di agosto e l’8 settembre sono le due date che si festeggiano oggi in santuario. Ricorrenze dei tempi andati erano invece la prima domenica di luglio, la domenica dopo l’Assunzione e l’8 settembre.
Per tali ricorrenze il Capitolo Feretrano è obbligato a inviare un canonico (due per la festa di agosto).

Il Guerrieri (storico del Montefeltro) ci descrive che la festa più grande era celebrata il giorno stesso dell’Assunzione, come si può desumere dagli obblighi e dagli affitti
Lo storico indugia alquanto a descriverla scendendo in alcuni particolari che è bello, di seguito, ricordare.

Per questa circostanza salivano anche i commercianti. Infatti … vi è portata per ispaccio tanta copia di robbe mangiative da diversi luoghi del piano che è una meraviglia a vedere e massime di meloni sicchè vi paiono trasportati gli Horti di S. Gianni e della Cattolica”.
Egli annotava che il concorso di gente era tale da ascendere a diecimila persone … parte tirate dalla devozione di quella SS.ma Vergine e parte tratta dalla curiosità dei festini.

Purtroppo, fra tanti che salivano devotamente il monte con il rosario in mano per onorare la Madonna, vi erano altri con in mano certi ordigni che nulla avevano a che fare con quella catenina.
Vi concorreva, infatti … la gioventù con ogni sorta di armi liberamente e massime con schioppi et ogni sorta di archibugi che pare in tal giorno essere propriamente in un campo martiale e per l’istessa causa vi concorrono diversi fuoriusciti onde per cagione di tante armi succedono questioni et omicidi. Vero è che da alcuni anni essendo da Superiori stati proibiti festini e balli, sono cessati e remossi tali tumulti.

Litigi, in occasione di feste e fiere, vi erano anche nelle nostre zone e non soltanto su in montagna; lo testimoniano i libri delle risoluzioni della Comunità di Maiolo e il registro di Messe della parrocchia di Cermitosa (1 agosto 1801 e 25 aprile 1887).

Questi sono solo pochi documenti ma ben altri, più pregevoli, meriterebbero di essere menzionati.

Certo è che la Cella godeva di una certa autonomia e importanza se vi abitava un rettore, dei Conversi, e se possedeva dei beni.


Il santuario è stato restaurato nel 1996 con le offerte e tramite l’aiuto di don Italo Baffoni.

La statua lignea della Vergine, in tronco di legno di fico, risale ai primi del 1500.

Il rettore del santuario è il vescovo della diocesi di San Marino - Montefeltro, il custode è don Leonardo, diacono permanente.


La tradizione orale, risalente a prima dell’anno 1000, ci ricorda che due pastorelli che avevano portato i loro greggi sui pascoli alti (allora i greggi erano composti da centinaia di animali), si trovarono improvvisamente in mezzo a un fortissimo temporale, tra tuoni e fulmini.

Si era nel mese di giugno e in montagna il tempo cambia assai velocemente. Essi si rifugiarono con i loro armenti sotto i faggi e alzando gli occhi videro la SS. Vergine. Chiesero l’intercessione: il vento cessò, i fulmini smisero di cadere, la pioggia non li bagnò oltre e il sole tornò a splendere.

Al termine dell’apparizione, su di un faggio, c’era un quadro raffigurante la Vergine Maria.
La sera i due pastorelli portarono l’immagine della Santa Vergine a valle nei loro ovili, certi che a un nuovo manifestarsi di tal evento, Maria li avrebbe di nuovo aiutati.

Il mattino seguente su in montagna era nevicato, essi corsero a chiedere aiuto alla loro immagine ma con grande stupore si accorsero che l’immagine non c’era più. La ritrovarono in seguito di nuovo attaccata al solito faggio e tutt’intorno gli uccelli, con le loro zampette, avevano tracciato sulla neve il perimetro della prima cella.
La vergine era salita da sola, mostrando che in tale luogo doveva essere venerata e le sue intercessioni sarebbero state una lode gradita a Dio.

Annotiamo una curiosità per comprovare la variabilità del tempo; nei protocolli di ser Vincenzo Ceccoli notaio di Montecerignone, trovasi notata la seguente memoria: A dì 10 di agosto il giorno di San Lorenzo, sotto l’anno 1562 a mezzogiorno venne la neve sul monte Carpegna fino appresso i faggi della Cella.

Inoltre, dalle memorie del parroco di san Biagio di Maiolo si legge che … il 3 settembre 1814 ci fu un temporale che durò per circa ore trenta consecutive cadde la neve sul monte Carpegna ed ha imbiancato fino al convento de i Capuccini di Pietra Rubbia ed ha coperto per due volte il grano da mietersi verso Villagrande e Monteboaggine.”

L’ornamento più grande e ragguardevole di questo monte è la chiesa della Madonna nominata “Cella del Monte”, così detta perché nei tempi antichi vi era solo una celletta con l’immagine della Madonna.

Frà Vincenzo Cimarelli, nel 1642 in Brescia, scriveva: … e sebbene questo grand’erto (il monte Carpegna) con le sue cime pare che tocchi il cielo e nei piani, però, che fa il medesimo sopra di quelle sponde, un tempio antico e venerando si vede, il quale consacrato alla Regina del Cielo è in grande venerazione tenuto da’ pietosi fedeli.

Da un registro degli Atti Capitolari si possono attingere diverse notizie, tra le quali penso sia doveroso citare la seguente: il 19 settembre 1776 il Capitolo spedì la patente di romito della cella; e nel febbraio 1789 si parla ancora del “nuovo eremita della cella”.

Il 10 di giugno 1858 monsignor Elia Antonio Alberani visita la cella, qui risulta eremita un certo Francesco di Girolamo della parrocchia di Montecopiolo e risulta che in quel periodo è stata rubata la campana. Questi aveva principalmente cura di custodire la chiesa con l’annesso eremitaggio, di favorire il culto della Beata Vergine, in modo che qualsiasi pellegrino, in ogni momento, potesse innanzi alla sua immagine rivolgere la sua preghiera.
Viveva di carità e conduceva una vita di penitenza.

Si sono tramandati episodi e figure di eremiti alcuni dei quali giunti a questo eremo dopo una vita dissipata o peccaminosa. Non era prescritto nessun abito speciale. È dopo il 1776 che la cella perse la sua denominazione sostituita da “Eremo della Beata Vergine del Faggio”.

Cenni delle tante grazie elargite dalla Beata Vergine, invocata sotto tale titolo, si hanno in tutto il corso dei secoli.

Il vescovo Sormani, nella sua visita apostolica nella parrocchia di Monteboaggine, ascoltò alcuni che, pur non essendo testimoni diretti, deposero su quanto avevano udito; tra questi Pietro Donini, Paolo del fu Antonio Francesco, Baldo Bernardini de’ Pazzi, tutti di Monteboaggine.

Dalle loro deposizioni risulta che "...una donna di Miratoio ottenne grazia per suo figlio", che "...Cristoforo di Pietrarubbia guarì da un male all’occhio", che ...Cangino di Pietrarubbia guarì da febbre quaranta che lo tormentava da tre anni”, che una donna di Scavolino...avendo perso un brazzo dal quale non poteva fare cosa alcuna et che essendo votata alla detta Madonna è stata liberata e guarita; che "...certa Bianca di Ravignano di Montecopiolo guarì dal male di un occhio dal quale non vedeva da 14 anni e che ora vede benissimo"; che "...un certo Tommaso di Frontino che cascava di quel brutto male (epilessia) quasi ogni giorno, doi et tre volte al giorno guarì e lavorò alla fabbrica della chiesa"; che di tal malattia è stata liberata certa Giovanna di Monteboaggine e che una donna di Bronzo riacquistò l’uso della lingua.


IL SANTUARIO OGGI

Ci dice don Enzo Busca che tante grazie si sono susseguite per l’intercessione della Mediatrice di tutte le grazie le cui memorie non sono state affidate agli scritti, ma tramandate di generazione in generazione! Anch’esse sono servite a mantenere viva la devozione alla Beata Vergine.

Anche se oggi il vivere in solitudine e in contemplazione qui non è più possibile, per le continue distrazioni portate dalla civiltà, la scintillante magnificenza del firmamento che brilla nella notte stimola la fantasia degli uomini: quale mistero si cela dietro questo splendore? Fissate sulla volta celeste, le piccole stelle si rivelano manifestazione di potenza e di grandezza. Lo spettacolo della notte e del mattino vanno guardati con gli occhi semplici dell’uomo della Bibbia.

Nella notte Dio mostra le stelle al patriarca Abramo e gli dice: Guarda il cielo e conta le stelle, se riesci… tale sarà la tua discendenza(Gn 7,6-7).
Nel cielo notturno le stelle e gli astri testimoniano il Creatore, il quale conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome (
Sal. 147,4), esse brillano di gioia per colui che le ha create.
Alle prime ombre della sera tutto dormirà in un profondo silenzio, i grilli scambieranno i loro segreti al primo spuntar della luna.

Quando già la prima stella bacia la valle e le nuvole sospinte dal vento sono andate verso mete sconosciute, i raggi del sole accarezzano per l’ultima volta la montagna.

Il mattino ci ricorda l’esplosione della creazione, dal caos alla luce, dalle tenebre all’aurora: mattino è oriente, là dove sorge il sole e, dal prato sopra il santuario, si vede l’orizzonte e la costa con il sole che si specchia nel mare con tutti i suoi colori.
Ogni albeggiare è un augurio di buon inizio della giornata. Eccolo, il sole! Ogni mattina esce dall’oscurità e percorre le vie per lui tracciate.

La luna, signora della notte, che brilla di luce tenue, impallidisce e si ritira; gli astri obbediscono con precisione alle leggi fisiche loro indicate, e svaniscono nel chiarore che cresce. Il momento della luce, cioè il mattino, è il tempo della preghiera (Sal. 5,4) è l’ora in cui Dio s’intenerisce per gli uomini.
La sera sopraggiunge il pianto e al mattino ecco la gioia (
Sal 30,6). È il momento scelto da Gesù per risorgere e indicare a noi la vita nuova.


La chiesetta è situata su di un prato, sul davanti del santuario.

Una strada lastricata ti permette di accedervi e un ampio porticato, in caso di pioggia, può ripararti.

A sinistra della porta d’ingresso s’innalza la torre campanaria, a base quadrata, con due campane, la piccola e la grande, la campana dei caduti 1915-18.
Fu commissionata alla ditta Pasqualini di Fermo per 18.000 lire da un comitato della val Conca, dissoltosi senza saldare. Il 13 febbraio 1970 fu firmata la traslazione con £ 100.000.

Il suono delle campane si diffonde nell’aria sino a valle. Sulla vetta del campanile una piccola croce in ferro fa da parafulmini.
Il rosone di vetro sotto il timpano della chiesa raffigura Gesù buon pastore.

Anticamente, dalla sommità dello stesso, partiva una grande croce di legno che terminava sopra il tetto, ora sostituita con una croce di pietra serena che sormonta il timpano. Sulla sinistra c’è un’edicola in cui si alloggia la statua della Vergine nei mesi estivi. Sulla destra una lapide ci ricorda un beato eremita che qui ebbe la sua vocazione.

Lo stipite della porta della chiesa è in pietra serena: spalancata la porta, sullo sfondo, nel presbiterio, troneggia il Santissimo Sacramento. Sotto il Santo, su mosaico in legno ricoperto da lamine in oro, è raffigurato l’Albero di Jesse e, nella nicchia, si può ammirare la statua lignea della Santa Vergine.

Essa è intagliata nel tronco di legno di fico, di cui conosciamo il valore biblico.
Risale al 1400-1500.

Bellissima nel suo manto, con in braccio il Figliol suo.
È vestita di rosso. Abitudine quat- trocentesca.

Come vorrei soffermarmi a descrivere il volto di Maria… ma è un’esperienza che lascio a ciascuno di voi. E non basta osservarla solo una volta. Ora, dopo tanti anni, capisco perché tante persone tornano a visitarla.

Nei tempi passati quante pie persone quassù salirono in devoto pellegri- naggio, il più delle volte per implorare grazie o sciogliere voti...

Sulle pareti della chiesa sono raffigurati i principali momenti della vita della Vergine: la nascita, l’Annunciazione da parte di Gabriele messo celeste, la visita di Maria a sant’Elisabetta, le nozze di Cana, Maria sotto la croce, Maria madre della Chiesa assieme a Pietro e Giovanni.

Sulla sinistra, entrando, si trova la cappella del Crocefisso, dove si pensa sia sorta la prima cella o cella dell’angelo.
Qui Maria è tornata da sola, nel luogo in cui i ragazzi ritrovarono la sua immagine appesa a un faggio.

Sopra la nicchia, dove alloggia la statua della Vergine, due angeli custodiscono la corona di Maria Madre di Dio e Regina della Pace. Sulla sinistra del presbiterio e sulla destra si aprono due porte con le quali si accede alle sacrestie.
Un ampio salone permette ai gruppi di persone di trovare alloggio in caso di necessità o di cattivo tempo.

Nei tempi passati la capanna del pastore sopperiva a diversi bisogni, essa era sempre aperta e nel suo interno vi era un camino per riscaldarsi. Oggi non è più possibile tenerla aperta poiché le greggi non ci sono più e i pastori hanno lasciato il loro posto. Il camino, però, è rimasto e la stanzetta è adibita a ufficio ricordini.

Nei mesi invernali, quando la temperatura si abbassa e la pioggia scroscia per poi mutare in neve a ricoprir così i prati e boschi della Cella, tutta la natura tace. Sta in attesa.